Per alcuni miei colleghi ci sono vittorie e vittorie: alcune sono più vittorie delle altre. Tony Cairoli vince l’ottavo titolo mondiale e tranne qualche trafiletto o articolo su pochi siti del settore, nessuno ha dato spazio alla magnifica opera del siciliano. Ripeto ottavo mondiale Motocross vinto da un centauro tricolore e interesse da parte di una certa stampa pari a quello che si offre ad una sagra di paese della Lettonia. Destino ha voluto che, vuoi perché qualcuno ha sbagliato la scelta dello pneumatico anteriore, perché un marziano si è accorto d’essere anche umano, dopo quindici mesi dall’ultimo successo tornasse a salire sul gradino più alto del podio “Lui”. Il tutto dopo che si è corso in una nazione dove la televisione sponsor di qualcuno fa fatica a raggiungere un’audience degna degli anni addietro e cinquant’anni dalla prima vittoria iridata di una moto della stessa marca. Bene, cosa è accaduto prima ancora che terminasse la gara? Un ululato, simile a quello ascoltato dalle stesse tribune nel 2008 a seguito della scivolata di Casey Stoner, ha accolto la caduta di Marc Marquez.
Durante le tornate finali, la telecronaca si è trasformata in liturgia proveniente dal cielo. Una volta tagliato il traguardo, giù le maschere. Jorge Lorenzo? Un perdente sopravvalutato! Marc Marquez? Uno che soffre la pressione psicologica! L’apoteosi, a mio avviso, si è raggiunta quando un collega a mo’ di mantello ha indossato una bandiera gialla; mancava solo che cantasse in stile Battiato “Sul ponte di Misano sventola la bandiera gialla!”. Nel frattempo sulle pagine dei gruppi del settore presenti sui social network, fiumi di link mettevano al rogo chi aveva dato per bollito “Lui”. Beh se in cinque stagioni, dopo cinquantatré gare in sella a moto ufficiali, il bottino parla solo di quattro primi posti se non proprio a un pilota bollito, siamo di fronte ad uno che ha intrapreso il viale del tramonto. Va detto che i cantori delle sue gesta ogni tanto hanno tirato il discorso dell’età per giustificare la mancanza di successi; proprio domenica abbiamo avuto la dimostrazione che l’età è una scusa poco credibile.
Senza scomodare chi a 42 anni ha vinto un mondiale dove si disputano doppie manche con moto più pesanti e con meno elettronica, gli anni che vanno dai 30 ai 35, non tolgono all’atleta un braccio o una gamba…ma torniamo a noi. Su alcune testate subito è partita la gara a chi stendesse più chilometri di tappeto formato lingua. Addirittura un noto quotidiano sportivo ha dedicato otto pagine all’impresa, con titoli che lodavano il titolo conquistato. Elogi di qua, osanna di là; fin qui tutto lecito e lungi da me negare la libertà di pensiero ed espressione, anzi! Sia chiaro: ognuno è libero di amare, anche sportivamente chi gli pare. Dove, invece, viene lo sdegno è che alcuni non si sono accontentati di godere della vittoria tanto attesa. No, si è voluto andare oltre, con il denigrare chi pratica lo stesso sport ed ha avuto il solo torto di essere stato quasi sempre il più veloce. Un comportamento simile, a mio parere, non è tollerabile dai tifosi, figuriamoci da chi di mestiere è il massimo difensore dell’articolo 21 della Costituzione e dice la sua in una competizione sportiva, laddove il solo fatto di partecipare merita rispetto e ammirazione; a maggior ragione se si rischia l’osso del collo. Lo sport ha di bello che oltre a far bene al corpo, fa benissimo alla mente.
Insegna a saper vincere come a saper perdere. Nella sconfitta si trovano le forze per vincere le prossime sfide; nella vittoria la soave ricompensa ai propri sacrifici. Il tutto contornato dall’umiltà di ossequiare i propri avversari. Mi dite, cortesemente, cosa c’è di sportivo e professionale in certi atteggiamenti di divinizzazione estrema che sfocia nell’umiliazione verso chi ha osato ostacolare le magnifiche sorti del proprio idolo? Non ho mai creduto all’imparzialità dell’informazione. Credo, però, che dovere di ogni giornalista sia raccontare senza se e senza ma la cronaca dei fatti, per poi dopo, senza fare confusione alcuna, dire la propria ed evidenziare le gesta di chi è simpatico. Invece, noto che non solo la realtà è mistificata (lo scusodromo è diventato un modus operandi molto in voga in certi ambienti), ma si giudica con assoluta imparzialità, vestendosi di professionalità dalle sembianze di una foglia di fico. Io stesso non ho la presunzione di essere imparziale, anzi. Mai (accetto sfide in merito) ho anteposto ai miei lettori la mia visione a quella della realtà. Prima i fatti, poi le opinioni; prima la storia, poi il ricamo. Fa piacere che il motociclismo riceva tanta attenzione dai mass media. Spero che sia, però, indirizzata uniformemente verso tutti i suoi protagonisti.
Non fosse così, dispiace dirlo, non sarebbe vera informazione. Il vero sport non abbisogna di finti eroi creati ad arte; ne hanno bisogno i professori del marketing, non chi fa informazione. Vendere più copie o trovarsi maggiori click sono realizzabili anche diversamente. Solo che ha dei costi: la sincerità, l’onestà intellettuale, la considerazione verso tutti e il rispetto a prescindere, sono atteggiamenti che hanno un prezzo. Prezzo che non sarà mai superiore a quello che si riceverà dalla fiducia dei lettori.
